31 maggio 2018

da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado

Fernando Botero - La strada
da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado
(…)
All’angolo, in fondo alla piazza, al centro di un piccolo elegante giardino di rose e gigli, con un gelsomino sulla porta, sorgeva la nuova casa del colonnello Melk Tavares, oggetto di profonde e accanite discussioni nella Cartoleria Centrale. Era una casa in ”stile moderno", la prima costruita dall’architetto lanciato da Mundinho Falcão, e le opinioni della intellettualità locale si erano divise, le discussioni continuavano eterne. Con le sue linee chiare e semplici, contrastava con i palazzoni massicci e le basse costruzioni in stile coloniale. Nel giardino, inginocchiata a curare i suoi fiori, più bella dei fiori, sognava Malvina, figlia unica di Melk, alunna del collegio delle suore. Per lei sospirava Josuè. Ogni pomeriggio, ultimate le lezioni e le interminabili discussioni nella Cartoleria Centrale, il professore andava a passeggiare sulla piazza, venti volte passava davanti al giardino di Malvina, venti volte le sue supplici occhiate carezzavano la ragazza in una muta dichiarazione. Dal bar di Nacib, i clienti abituali seguivano lo spettacolo quotidiano con ironici commenti:
- È ostinato il professore...
- Vuole farsi una posizione indipendente, guadagnare piantagioni di cacao senza la fatica di coltivarle.
- Eccolo là, per la sua penitenza quotidiana... - dicevano le zitelle nel vederlo arrivare sulla piazza, affannato, e simpatizzavano con lui, per quella passione non corrisposta.
- Io lo so cos’è quella: è una con la puzza sotto al naso che vuol fare la difficile. Ma che cerca più di un giovane tanto intelligente?
- Ma povero...
- Matrimonio di interesse non porta felicità. Un giovane sensibile, un letterato che compone perfino poesie...
In prossimità della chiesa, Josuè rallentava il passo, si toglieva il cappello, piegandosi quasi in due di fronte alle zitelle.
- Educato, distinto...
- Ma debole di petto...
- Il dottor Plinio dice che non ha niente di serio ai polmoni, è solo un po' gracile.
- È superba, ecco cos’è, perché ha una bella faccia e il padre carico di soldi.
Poverino, lui tanto appassionato... - un sospiro si levò dal petto sterile.
Accompagnato dai commenti affettuosi delle zitelle, e da quelli ironici della gente nel bar, Josuè si avvicinava alla finestra di Gloria. Per vedere Malvina, bella e indifferente, verso la fine di ogni pomeriggio, percorreva quella strada a passi lenti, con un volume di versi fra le mani.
Ma, di sfuggita, il suo romantico sguardo sfiorava la prosperità degli alti seni di Gloria poggiati alla finestra come sopra un vassoio azzurro. E dai seni si spostava verso il volto bruno e abbronzato, dalle labbra carnose e sensuali, dagli occhi continuamente invitanti. Allora, gli occhi romantici di Josuè si accendevano di desiderio materiale e peccaminoso e un’ondata di calore gli arrossava il pallido viso. Era soltanto un istante, poi, passata la tentazione della finestra tentatrice, i suoi occhi ridiventavano supplici e disperati, la sua faccia si faceva più pallida ancora, ed occhi e faccia si dedicavano completamente a Malvina.
(…)

da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado

Fernando Botero - Donna alla finestra
da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado
(…)

Lamento di Gloria

Ho una fiamma dentro il petto ahi!
una fiamma nel mio petto.
(Chi si brucerà?)
Un colonnello mi dette ricchezze
ricchezze a non finire:
mobili Luigi XV per il corpo riposar.
Camicie di seta pura
bluse di candido lino.
Non esiste reggiseno,
né di raso né di seta,
né del lino più sottile,
capace di contenere la fiamma
che sta bruciando
la solitudine del mio petto.

Ho un ombrellino da sole
e del danaro da spendere.
Acquisto nei negozi più cari
faccio segnare sul conto.
Ho tutto ciò che voglio
e una fiamma dentro il petto.
A che serve avere tutto
se non ho quello che voglio?

Le donne mi girano la faccia
gli uomini guardano da lontano:
sono la Gloria del colonnello,
la pollastra del fazendeiro.
Candido lenzuolo di lino
e un fuoco dentro il petto.

Nella solitudine del letto
i miei seni sono bruciati,
cosce di fiamma,
bocca che muore di sete, ahi!
Sono la Gloria, quella del fazendeiro
quella che ha un fuoco nel petto
e fra candide lenzuola
la solitudine abbraccia.

I miei occhi di languore,
i miei seni colmi d’aroma
con un calore palpitante.
Non racconto com’è il mio ventre
ma questo fuoco che brucia
nasce dalla brace accesa
nella solitudine lunare
del dolce ventre di Gloria.
Non racconto il suo segreto
né perché la brace è accesa.

Ci voleva uno studente
inesperto della vita,
ci voleva un bel soldato
in divisa militare,
ci voleva un amore,
ci voleva per soffocare quel fuoco
per non essere più sola.

Ho spalancato la porta,
ho levato il chiavistello,
ho buttato via la chiave.
Venite a soddisfare questo fuoco,
in queste fiamme vi brucerò,
portatemi un po' d’amore
chè molto ne voglio dar.
Venite ad occupare questo letto.

Ho una fiamma dentro il petto ahi!
una fiamma nel mio petto.
(Chi a quella fiamma si brucerà?)


La casa di Gloria sorgeva sull’angolo della piazza. Gloria ogni pomeriggio si affacciava alla finestra, con i floridi seni esposti come in un’offerta ai passanti.
L‘una e l’altra cosa scandalizzavano le zitelle che si recavano in chiesa e commentavano ogni sera, nell’ora della preghiera vespertina:
- Svergognata...
- Gli uomini peccano anche non volendo. Solo a guardare.
- Perfino i bambini perdono l’innocenza dello sguardo... L‘angolosa Doroteia, tutta in nero, virtuosamente verginale, mormorava con esaltazione fanatica: - Però, il colonnello Coriolano, poteva mettere la casa dell’amante in una strada secondaria. Invece la pianta proprio in faccia alle migliori famiglie della città. Sotto gli occhi di tutti gli uomini...
- Vicino alla chiesa, è un’offesa anche a Dio...
Dal bar affollato fin dalle cinque del pomeriggio, gli uomini allungavano gli sguardi verso la finestra di Gloria, sull’altro lato della piazza. Il professor Josuè, con cravatta a farfalla, azzurra a pallini bianchi, i capelli lucidi di brillantina e il volto scavato dalla tubercolosi, alto ed ossuto (“come un triste eucalipto solitario”, si era autodefinito in poesia), con un libro di poesie in mano, attraversava la piazza e si dirigeva verso il marciapiede di Gloria.
(…)

da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado

Fernando Botero - Flamenco
da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado
(…)
Nacib si crogiolava al silenzio degli amici, per l‘impressione prodotta dal suo racconto, si vendicava dell’aria misteriosa con la quale erano arrivati. Ma avrebbe saputo cosa stavano tramando, molto presto. Il capitano parlò:
- Furioso, eh? Diventerà ancora più furioso, il vecchio rimbambito. Crede d’essere padrone di tutto... Per lui, Ilhéus è come se facesse parte della sua fazenda. Mentre, noi, ilhèensi, semplici salariati e dipendenti... - disse il dottore.
Mundinho Falcão restava in silenzio, sorrideva. Sulla porta del cinema apparvero Diogenes e la coppia degli artisti. Videro gli altri al tavolino sul marciapiede del bar, si diressero da quella parte. Nacib aggiungeva:
- Proprio così. Don Mundinho per lui è soltanto un “forestiero”.
- Ha detto “forestiero”? - chiese l’esportatore.
- Sì, forestiero. Ha usato proprio questa parola. Mundinho Falcão toccò il braccio del capitano: - Puoi cercare quella persona, capitano. Ho deciso. Noi suoneremo e lui ballerà... - disse l’ultima frase rivolto a Nacib.
Il capitano si alzò, vuotò il bicchiere, la coppia di artisti stava arrivando.
“Che diavolo stanno complottando? ”, pensava Nacib. Il capitano ossequiava:
- Scusatemi, stavo andando via, un affare urgente.
Gli uomini si alzavano dal tavolo, muovevano le sedie. Con l’ombrellino aperto, Annabella sorrideva vezzosa. Il principe, con la sua lunga pipa, porgeva la mano lunga e scheletrica, nervosa.
- A quando la prima? - chiese il dottore.
- Domani... Stiamo prendendo accordi con il signor Diogenes.
Il proprietario del cinema, con la barba lunga, spiegava con una voce sfiduciata e lamentosa da cantore di inni sacri:
- Credo che lui piacerà. Ai giovani piacciono questi giochi prestigio. E anche ai grandi. Ma la donna...
- Perché no? - chiese Mundinho, mentre Nacib serviva nuovi aperitivi. Diogenes si grattò la barba:
- Lei comprende, questo è ancora un posto arretrato. Certe danze di lei, quasi nuda... Le famiglie non vengono.
- Ma farai il pieno di uomini... - affermò Nacib.
Diogenes andava alla ricerca di spiegazioni. Non voleva confessare che proprio lui, protestante e pudico, si scandalizzava alle danze piccanti di Annabella:
- È un numero da locale notturno... Non sta bene in un cinema.
Il dottore, galante e cortese, chiedeva scusa, in nome della città, alla sorridente artista:
- Ci voglia perdonare. È una terra arretrata, le audacie artistiche non vengono apprezzate. Rendono tutto immorale.
- Danze di pura arte, - era la voce cavernosa del prestigiatore.
- Certo, certo... Ma...
Mundinho Falcão si divertiva:
- Via, signor Diogenes... - Nel night-club lei può guadagnare molto di più. Potrebbe aiutare suo marito nei trucchi, e dopo ballare al cabaret...
Le parole “guadagnare di più” fecero brillare lo sguardo del principe. Annabella desiderava conoscere l’opinione di Mundinho:
- Cosa ne pensa?
- Benissimo, ottima cosa, non crede? Giochi di prestigio nel cinema, danze nel night-club... Perfetto...
- E il proprietario del night-club? Sarà interessato?
- Questo lo sapremo subito... - si rivolse a Nacib: - Nacib, fammi un piacere: manda un ragazzo a chiamare Zeca Lima, desidero parlargli. In fretta, venga subito.
Nacib gridò l’ordine al negretto Tuisca che uscì correndo. Mundinho dava buone mance. L‘arabo pensava al tono di comando dell’esportatore, pareva lo stesso del colonnello Ramiro Bastos, quando da giovane dava ordini, imponeva leggi. Qualcosa stava per accadere.
Il movimento aumentava, arrivavano nuovi clienti, si animavano i tavoli.
Chico Moleza correva da una parte all’altra. Riapparve Nhô Galo, si unì al gruppo. Anche il colonnello Ribeirinho che si mangiava con gli occhi la ballerina. Annabella risplendeva fra tanti uomini. Il principe Sandra, con il suo aspetto denutrito, austero sulla sedia, calcolava i buoni affari che avrebbero concluso in quel posto. Da stabilircisi definitivamente, per salvare la pancia dalla miseria.
- L’idea del night-club non è malvagia...
- Che idea? - voleva sapere Ribeirinho.
- Danzerà al cabaret.
- E nel cinema, no?
- Nel cinema solo magia. Per le famiglie. Nel night-club, la danza dei sette veli...
- Al cabaret? Ottimo... Succederà il finimondo... Ma perché non balla nel cinema? Io pensavo...
- Danze moderne, colonnello. I veli cadono uno a uno...
- Uno a uno? Tutti e sette?
- Alle famiglie potrebbe non piacere...
- Ah! Così è... Uno a uno... Tutti? È meglio allora al cabaret... C’è più animazione...
Annabella rideva, fissava il colonnello con occhi pieni di promesse, il dottore ripeteva:
- Terra retrograda, l’arte viene relegata nei cabaret.
- Non si trova neppure una cuoca, - si lamentò Nacib.
(…)

da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado

Fernando Botero - Le sorelle
da “Gabriella garofano e cannella” – Jorge Amado
(…)
Si schermirono, vezzeggiarono, si fecero pregare, ed accettarono. Non senza prima dichiarare che lo facevano esclusivamente per Nacib, giovane distinto. Dove s’era mai visto ordinare il giorno prima un pranzo per trenta persone e tutte importanti? Senza considerare il tempo tolto per il presepio, non sarebbe avanzato neppure un attimo per tagliare mezza figura. Oltre a dover trovare qualche aiutante...
- Avevo dato una mezza parola a due ragazze per aiutare Filomena...
- No... Oh no... Preferiamo donna Jucundina e le figlie. Siamo già abituate con lei. E poi cucina bene.
- Accetterebbe di venirmi a cucinare in casa?
- Chi? Jucundina? Non ci pensate nemmeno Nacib: e la sua casa, e i tre figli già grandi, e il marito, chi ci pensa? Per noi, una volta tanto, lei viene, per amicizia...
Chiesero una cifra enorme, una pazzia. Con il prezzo già fissato quel pranzo non gli avrebbe fruttato nulla.
Se non fosse stato perché Nacib aveva già preso l’impegno con Moacir e il russo... Ma era uomo di parola, non avrebbe lasciato gli amici senza cena per gli invitati. Come pure non avrebbe lasciato il bar senza dolcetti e salatini. Se l’avesse fatto avrebbe perduto la clientela con un danno ancora maggiore. Ma non poteva durare più di qualche giorno; altrimenti, dove sarebbe andato a finire?
- È tanto difficile trovare una buona cuoca, - si lamentò Florzinha.
- Quando ce n’è una se la disputano, - concluse Quinquina.
Era vero.
Una buona cuoca ad Ilhéus valeva oro. Le famiglie ricche le mandavano a prendere ad Aracajù, a Feira-de-Sant’Ana, ad Estancia.
- Allora va bene. Mando Chico Moleza per le compere.
- Prima è, meglio è, Nacib.
Si alzò, dette la mano alle zitelle. Guardò ancora una volta le riviste e il presepio:
- Porterò le riviste, state tranquille. E grazie per avermi tolto da...
- Non c'è di che. Lo facciamo per lei. Però dovrebbe sposarsi, Don Nacib. Se fosse sposato non le succederebbero queste cose...
- Con tutte le donne nubili di questa città... E capaci.
- Ne conosco una che va benissimo per lei, Don Nacib. Donna a posto, senza grilli per la testa, non è come quelle che pensano solo al cinema e al ballo... Distinta, sa anche suonare il piano. È soltanto povera...
La mania delle zitelle era quella di procacciare matrimoni.
Nacib rise:
- Quando deciderò di sposarmi verrò subito qui, a cercare una sposa.
(…)

Incenso al migliore – Odisseas Elytis

Cnosso - affresco nel Palazzo del trono
Incenso al migliore – Odisseas Elytis

Una traslitterazione del suono fatta dallo sciabordare
delle piccole onde quando la luna si allontana e la casa
si avvicina alla riva, ci potrebbe rivelare molte cose. Sulle
vette dei sensi prima di tutto. Dove la gentilezza arriva
sempre prima, scavalcando la forza: un luminoso celeste
color pistacchio, il ciottolo incandescente, passi solitari del
vento sulle foglie. O altrimenti: una metopa una cupola
che rendono lineare la natura come lo sciabordio rende
universale la lingua greca.

Impara a pronunciare bene la realtà.

30 maggio 2018

Solo, amore mio – Tommaso Landolfi

dipinto di Iain Faulkner
Solo, amore mio – Tommaso Landolfi

Solo, amore mio, solo
Come neppure l'usignuolo.
Io questa solitudine fo pegno
Di segreta delizia
Ed essa eleggo a mio splendente regno.
Amare note canta la Pizia,
Ben so che andranno tutte vuote
Queste ultime speranze -
Eppure, amore
Io mi scavo una nicchia dentro l'ora
Fuggevole e alterna,
E piango e soffro e tremo ancora.

William Shakespeare - Sonetto CXXXII

dipinto di Fabian Perez
William Shakespeare - Sonetto CXXXII

Amo i tuoi occhi ed essi, quasi avessero pietà,
sapendo che il tuo cuore mi tortura col tuo sdegno,
si son vestiti a lutto e piangon dolci lacrime,
guardando il mio dolore con tanta compassione.

E per essere sincero, né il primo raggiar del sole
rende migliore il volto diafano dell’aurora,
né la fulgida stella che annuncia la sera
dà parte del suo splendore al fosco tramonto,

quanto quei due occhi a lutto adornino il tuo viso.
Lascia dunque che anche il tuo cuor sia degno
di piangere per me, giacché il lutto ti dà grazia,

e vesti la tua pietà di nero in ogni parte.
Allora giurerò che la vera bellezza è nera,
e che orride son quelle che mancan del tuo colore.

William Shakespeare - Sonetto CXXXIV

William Shakespeare - Sonetto CXXXIV


Così, or che ho confessato che egli è tuo
e che me stesso ho ipotecato alle tue brame,
rinuncio a ogni diritto se tu l’altro mio io
vorrai restituirmi ancora a mio conforto.

Ma non lo farai, né lui vorrà mancar l’impegno,
perché tu sei possessiva ed egli ha nobil cuore;
solo a mio favore egli sottoscrisse
quel vincolo che anche lui or lega strettamente.

Della tua bellezza tu vuoi l’intero prezzo,
tu usuraia che solo dai per interesse,
e citi un amico che per me impegnò il suo nome:

così lo perdo per questo assurdo intrigo.
Io l’ho perduto; tu ci possiedi entrambi,
ei paga ogni tributo, ma ancor non sono libero.

William Shakespeare - Sonetto CXXXIII

Claude Monet - Stilll Life with Anemones
William Shakespeare - Sonetto CXXXIII

Dannato sia quel cuore che il cuor mio fa gemere
per la dura ferita inflitta al mio amico e a me!
Non lo saziava forse torturare me soltanto
senza asservire a schiavitù l’amico mio più caro?

Il tuo occhio crudele me ha distolto da me stesso
e con più crudeltà hai catturato l’altro mio io:
da lui, da me, e da te io sono abbandonato,
che triplice agonia sentirsi tre volte in croce!

Chiudi il mio cuore nella cella del tuo duro petto,
ma del cuore del mio amico sia il mio cuor garante;
chiunque m’incateni, lasci il mio cuore a sua custodia

così nella mia prigione non potrai usar violenza.
Eppure lo farai, perché essendo racchiuso in te,
per forza sono tuo e tuo è tutto quel che è in me.

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa
 
471. UN GIORNO
Invece di pranzare – necessità a cui devo adempiere tutti i giorni – sono andato a guardare il Tago, e sono tornato a vagare per le strade senza supporre affatto di aver trovato utile per la mia anima, guardarlo. E tuttavia… Vivere non vale la pena. Solo guardare vale la pena. Poter guardare senza vivere realizzerebbe la felicità, ma è impossibile, come in genere lo è tutto ciò che sogniamo. L’estasi che non comprenda la vita!… Creare almeno un pessimismo nuovo, una nuova negazione, per farci avere l’illusione che qualcosa di noi, anche se non buono, resti!

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

dipinto di Gustav Klimt
da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa
470. 

In ogni spirito, che non sia anormale, è connaturale il credere in Dio. In ogni spirito, che non sia anormale, non è connaturale il credere in un Dio ben preciso. È una qualche entità, esistente e impossibile, che governa tutto; la cui persona, ammesso che ne abbia una, nessuno è capace di definire; i cui disegni, ammesso che se ne serva, nessuno è in grado di perscrutare. Nominandolo Dio diciamo tutto, perché, non avendo la parola Dio alcun significato preciso, lo affermiamo senza dire alcunché. Gli attributi di infinito, di eterno, di onnipotente, di sommamente buono e giusto che a volte gli assegniamo, decadono da soli come tutti gli aggettivi inutili quando il sostantivo è sufficiente. E Lui, che in quanto indefinito non può avere attributi, è per ciò stesso il sostantivo assoluto. Uguale certezza e uguale vaghezza coesistono in relazione all’immortalità dell’anima. Tutti noi sappiamo di morire; tutti noi sentiamo che non moriremo. Non è esattamente un desiderio, e neppure una speranza, a darci questa visione nel buio che confondiamo con la morte: è un ragionamento fatto con il cuore, che rifiuta […]

Per Jane: con tutto l’amore che avevo, che non era abbastanza - Charles Bukowski

dipinto di Howard Rogers
Per Jane: con tutto l’amore che avevo, che non era abbastanza - Charles Bukowski

raccolgo la gonna,
raccolgo le perline scintillanti
nere,
questa cosa che una volta si muoveva
attorno alla carne,
e do del bugiardo a Dio,
dico che qualsiasi cosa che si muoveva
così
o che sapeva
il mio nome
non dovrebbe mai morire
nel senso comune di morire,
e raccolgo
il suo bel
vestito,
tutta la sua bellezza andata,
e parlo a tutti gli dei,
dei ebraici, dei cristiani,
frammenti di cose che lampeggiano,
idoli, pillole, pane,
metri, rischi,
resa consapevole,
ratti nel sugo di due quasi impazziti
senza possibilità,
la conoscenza del colibrì, le possibilità del colibrì,
mi appoggio a questo,
mi appoggio a tutto questo
e riconosco
il suo vestito sul mio braccio
ma
loro non
me la ridaranno indietro.

William Shakespeare - Sonetto CXXXVIII

PeregrineHeathcote - Welcome
William Shakespeare - Sonetto CXXXVIII

Quando il mio amore giura d’esser tutta fedeltà
io voglio crederle, anche se so che mente,
perché possa pensarmi un giovane immaturo
che del mondo ignora l’arte sottil del fingere.

Così con vanità pensando che mi creda giovane,
anche se sa che in me il meglio è tramontato,
candidamente accetto la sua lingua menzognera –
e così da entrambi la pura verità è taciuta.

Ma perché ella non dice di essermi infedele?
E perché anch’io non le dico d’esser vecchio?
No, l’amor si veste meglio se simula fiducia

e l’età in amore non vuol conoscer anni.
Per questo con lei mento e lei mente con me,
e nei nostri errori ci lunsinghiam mentendo.

William Shakespeare – Sonetto CXL

dipinto di Peregrine Heathcote
William Shakespeare – Sonetto CXL

Sii saggia quanto sei crudele, non pressar
la mia muta pazienza col tuo continuo sdegno
affinché il dolore non mi presti verbo e dica
il perché della mia amara pena.

Se potessi insegnarti un po’ d’acume, ti converrebbe
amore, dirmi che mi ami, anche se non vero;
come a malati tremanti ormai prossimi alla fine,
vengon dette dai medici sol parole di speranza.

Perché se disperassi, senz’altro impazzirei
e nella mia follia di te potrei dir male;
questo deviato mondo è oggi così perverso

che i più pazzi maldicenti trovan sempre ascolto.
Perché io non sia creduto, né tu sia calunniata,
ferma il tuo sguardo pur se il tuo cuore è assente.

da “I quaderni del carcere” – Antonio Gramsci

da “I quaderni del carcere” – Antonio Gramsci

“Si tratta dunque di un’infallibilità a buon mercato e che non solo non ha significato teorico, ma ha scarsissima portata politica ed efficacia pratica: in generale non produce altro che prediche moralistiche e quistioni personali interminabili. Quando un movimento di tipo boulangista si produce, l’analisi dovrebbe realisticamente essere condotta secondo questa linea:
1) contenuto sociale della massa che aderisce al movimento;
2) questa massa che funzione aveva nell’equilibrio di forze, che va trasformandosi come il nuovo movimento dimostra col suo stesso nascere?
3) le rivendicazioni che i dirigenti presentano e che trovano consenso quale significato hanno politicamente e socialmente? A quali esigenze effettive corrispondono?
4) esame della conformità del mezzi al fine proposto;
5) solo in ultima analisi, e presentata in forma politica e non moralistica, si prospetta l’ipotesi che tale movimento necessariamente verrà snaturato e servirà a ben altri fini da quelli che le moltitudini seguaci se ne attendono.
Invece questa ipotesi viene affermata preventivamente quando nessun elemento concreto (che cioè appaia tale con l’evidenza del senso comune e non per una analisi “scientifica” esoterica) esiste ancora per suffragarla, così che essa appare come una accusa moralistica di doppiezza e di malafede o di poca furberia, di stupidaggine (per i seguaci)”.

Gramsci prende ad esempio il movimento boulangista sviluppatosi in Francia alla fine del XIX secolo, un movimento populista ante litteram e sui generis, ma che nelle sue caratteristiche salienti può servire adeguatamente come sintesi di un ragionamento volto a sviscerare il come va analizzato un movimento del genere.
da Manifesto of blasphemy blog spot

29 maggio 2018

da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa

dipinto di Paul Schulenburg
da “Il libro dell’inquietudine” – Fernando Pessoa
458.
Sapendo perfettamente come le cose più insignificanti siano capaci di torturarmi, volutamente evito il contatto con le minime cose. Chi, come me, soffre perché una nube passa davanti al sole, come potrebbe non soffrire nel buio del giorno perennemente coperto della sua vita? Il mio isolamento non è una ricerca di felicità, che io non ho la forza di raggiungere; né un desiderio di tranquillità, che nessuno ottiene salvo non averla mai perduta… ma una ricerca di sonno, di annullamento, di modesta rinuncia. Le quattro pareti della mia misera stanza sono per me, allo stesso tempo, prigione e distanza, letto e bara. Le mie ore più felici sono quelle in cui non penso a nulla, non ho desiderio di nulla, e in cui non sogno neppure, perso in un torpore da vegetale anomalo, da mero muschio che cresce sulla superficie della vita. Assaporo senza amarezza l’assurda coscienza di non essere nulla, in cui pregusto la morte e il dissolvimento. Non ho mai avuto nessuno da poter chiamare “Maestro”. Nessun Cristo è morto per me. Nessun Budda mi ha indicato il cammino. Nel cielo dei miei sogni nessun Apollo o Atena sono apparsi ad illuminare il mio spirito.

da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa

dipinto di Susan Ryder
da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa

Cous cous

Gli ingredienti del cous cous vanno dosati a occhio, a seconda del numero delle persone e della quantità della semola incocciata. Ogni cuoca potrà regolarsi in base al proprio gusto, alle stagioni, agli ingredienti che trova al mercato. Resta comunque il fatto che la preparazione del cou cous è un bel rito collettivo, che favorisce le chiacchiere e le confidenze. Si può variare ls ricetta in funzione della propria fantasia.

-       semola di grano Kg 1
-       olio
-       sale
-       aglio
-       prezzemolo
-       mandorle tostate
-       cannella

Nell’acqua di cottura:
-       alloro (lavorare) la semola di continuo
-       chiodo di garofano
-       cannella
-       sedano

Disporre la semola a conca su un piano. In un mortaio pestare l’aglio e ridirlo in crema. tritare il prezzemolo fino fino. Versare nella conca la crema d’aglio, il prezzemolo, il sale, l’olio e mescolare.
Incocciare (lavorare) la semola di continuo, passandola tra le mani un poco per volta, finché gli ingredienti si saranno completamente amalgamati. Versare il composto nella couscousiera e cuocerlo a vapore. Con una colla fatta d’acqua e farina sigillare l’attaccatura dei due recipienti, quello contenente l’acqua di cottura e quello del cous cous. Coprire la semola con uno strofinaccio umido e girare di tanto in tanto fino a cottura avvenuta. Lasciare il cous cous a dormire per qualche ora in un piatto di coccio, ricoperto con una mappina bianca di lino. unire poi la semola alla zuppa di pesce.

Zuppa di pesce
-       scorfano                                           - pomodori
-       sarago                                              - cipolla
-       sgombro                                            - aglio
-       cernia e altri piccoli pesci              - prezzemolo
-       calamaro                                          - sedano
-       cozze                                                - alloro
-       vongole                                            - mandorle
-       scampi                                              - olio
-       gamberi                                            - vino bianco
-       peperoncino

Tritare finemente una cipolla, coprirla d’acqua e farla cuocere in un tegame. Quando l’acqua evapora, versare un po’ d’olio e lasciare soffriggere per meno di un minuto. Aggiungere poi aglio, pomodori rossi tagliati a pezzetti e privati dei semi, mandorle alloro, sedano, prezzemolo. Sfumare con un bicchiere di vino bianco. Nel passaverdure schiacciare le verdure cotte. Allungare il purè fino a farne una salsa liquida e utilizzarla per cuocere i pesci come per una zuppa.
Pulire, diliscare  e ridurre in pezzetti i pesci. Schiacciare le teste nel passaverdure fino a farne una crema.
Unire la zuppa filtrata, la crema e del peperoncino. Lasciare sobollire per qualche minuto. Si otterrà un brodo denso. Versarlo in ciotole di coccio e portare in tavola ben caldo.
Aprire cozze e vongole. Decorare il piatto del cous cous con scampi, cozze e vongole.
Spolverare sulla superficie le mandorle tostate e tritate e la polvere di cannella. Portare in tavola.
(…)