20 novembre 2017

da Venti, 3 – Pandelis Bukalas

da Venti – Pandelis Bukalas

3
Questo mio giovinetto, partito per l’Averno,
ti prego, abbine cura, non lo lasciare solo.
E’ piccolo, è ancora ignaro, non conosce il buio,
ancora non sa il gelo, non sa la terra nera.
Era una luce splendida, un fiume che scorreva,
era un fuoco che ardeva, e il fuoco lo ha bruciato.
Dal balenio degli occhi lo riconosci, madre,
e dal sangue versato, identico a mio padre.
Ne aveva preso il nome, ne ha preso anche la Morte.
Il ventinove ottobre rimase ucciso il padre.
Il ventinove ottobre veniva al mondo Spiros.
Ventinove e sessantadue, totale novantuno.
Ciò che pareva grazia, fu una maledizione –
maledizione della stirpe, che per decreto paga
col sangue e con la morte. Violenta e intempestiva.
Lui da un cavallo ucciso, e tu dai tuoi cavalli,
neri, trentatre, i cavalli della tua moto,
gli stessi che recisero il filo di suo nonno.
Madre, abbi cura di lui, abbracciamelo, padre,
sia il vostro beniamino, saziatelo voi d’amore:
nel mondo qui di sopra non n’ebbe a sufficienza.
E’ partito famelico, e assetato arriva.
Dategli il benvenuto, imbanditegli vino e cibo,
cantategli la canzone che andando via cantava,
quella sui cinque greci festanti nell’Averno.
Quasi avesse invidiato la loro compagnia,
ha preso il dolce piffero e il baglamàs piccino,
perché suoni più forte ciò che non ha voce,
ciò che l’anima sperpera e sbriciola la mente.
Rimane vivo il corpo, però fatto di terra.
Lo soffocano i serpenti, serpenti con due teste:
una è della Morte avida, e  l‘altra del suo dio.

Traduzione di Nicola Crocetti
Da “Poesia”  n. 298, novembre 2014. Crocetti Editore

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