24 luglio 2016

Nausicaa – Luis Alberto de Cuenca

opera di Pascal Chove
Nausicaa – Luis Alberto de Cuenca

Il mare di Omero ride per te,
che ti appoggi nuda al parapetto
in cerca d’aria fresca, con la coppa
di nettare in mano, mentre d’intorno
vanno e vengono gli ospiti alla festa
che hai dato nel palazzo di tuo padre.
L’aria pura inonda i tuoi polmoni
e il nettare ti sale alla testa.
Ed ecco arrivare alla terrazza
l’uomo della tua vita. Unisce in sé
nobilmente la forza e la sapienza.
Ulisse è il suo nome. Tu non ignori
che non si tratterrà. Già tante volte
sognasti il suon disprezzo… Tuttavia,
lo scintillare dei tuoi occhi insinua:
“Non mi sazio di vederti”. E le tue orecchie
reclamano: “Parlami, dammi parole
per vivere”. E con il sesso dici:
“Padrone, fai di me ciò che ti piace”.
Tutto è abbandono in te, dolce Nausicaa.
Ma lui è annoiato dalla festa,
perso dietro al ricordo della patria,
e non considera te, né quel tuo corpo
di dea crivellato di messaggi
che non arriveranno mai a destinazione.

trad. di Stefano Bernardinelli
da Poesia n. 317 – Luglio/Agosto 2016

15 luglio 2016

Elena: palinodia - Luis Alberto de Cuenca

opera di Pascal Chove


Elena: palinodia - Luis Alberto de Cuenca

No, non è vera, amore quella storia.
Non arrivò a sedurti quel demente
dai ricci profumati. Non fuggisti
precipitosamente dalla festa
del nostro anniversario, con lo sguardo
inchiodato sul pacco ch’emergeva
tra le sue gambe, e le narici sature
di droga. Non salisti a bordo
del suo lussuoso yacht con quanto avevi
indosso (quasi niente), mentre io
ti cercavo per le strade come un pazzo,
temendo che ti fosse successo chissà cosa.
Non sei scomparsa dalla mia vita
come una meteora e per sempre.
non può essere vera quella storia.

trad. di Stefano Bernardinelli
da Poesia n. 317 – Luglio/Agosto 2016

12 luglio 2016

Teresa Mattei - Intervento all'Assemblea costituente, seduta pomeridiana del 18 marzo 1947



Teresa Mattei - Intervento all'Assemblea costituente, seduta pomeridiana del 18 marzo 1947

Onorevoli colleghi, parlare dopo il decano, dopo i più anziani di questa Assemblea è un compito un po' difficile per una giovane donna. Ma, forse, uno dei pochi vantaggi che io presenterò, sarà quello di essere breve, anche perché mi sarebbe estremamente difficile diffondermi troppo in ricordi di gioventù. (Si ride).
Vorrei solo sottolineare in questa Assemblea qualcosa di nuovo che sta accadendo nel nostro Paese. Non a caso, fra le più solenni dichiarazioni che rientrano nei 7 articoli di queste disposizioni generali, accanto alla formula che delinea il volto nuovo, fatto di democrazia, di lavoro, di progresso sociale, della nostra Repubblica, accanto alla solenne affermazione della nostra volontà di pace e di collaborazione internazionale, accanto alla riaffermata dignità della persona umana, trova posto, nell'articolo 7 (diventerà l'articolo 3, ndr), la non meno solenne e necessaria affermazione della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche. Questo basterebbe, onorevoli colleghi, a dare un preminente carattere antifascista a tutta la nostra Costituzione, perché proprio in queste fondamentali cose il fascismo ha tradito l'Italia, togliendo all'Italia il suo carattere di Paese del lavoro e dei lavoratori, togliendo ai lavoratori le loro libertà, conducendo una politica di guerra, una politica di odio verso gli altri Paesi, facendo una politica che sopprimeva ogni possibilità della persona umana di veder rispettate le proprie libertà, la propria dignità, facendo in modo di togliere la possibilità alle categorie più oppresse, più diseredate del nostro Paese, di affacciarsi alla vita sociale, alla vita nazionale, e togliendo quindi anche alle donne italiane la possibilità di contribuire fattivamente alla costituzione di una società migliore, di una società che si avanzasse sulla strada del progresso, sulla strada della giustizia sociale. Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne affermazione costituzionale. (…)
La lotta per la conquista della parità di questi diritti, condotta in questi anni dalle donne italiane, si differenzia nettamente dalle lotte passate, dai movimenti a carattere femminista e base spiccatamente individualista. Questo in Italia, dal più al meno, tutti lo hanno compreso. Hanno compreso come la nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro Paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità contrapponendola alla personalità maschile, facendo il solito femminismo che alcuni decenni fa aveva incominciato a muoversi nei vari Paesi d’Europa e del mondo. Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, non non vogliamo che le donne italiane aspirino ad un’assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Per ciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro.
È nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese. (…).
Non vi può essere oggi infatti, a nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia essere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla donna insieme all’uomo, se si voglia veramente che la conquista affermata dalla Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore avvenire d’Italia.
Ma una cosa ancora noi affermiamo qui: il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto di arrivo, un approdo. (…)
Anche ammesso, come speriamo, che il futuro ordinamento giudiziario sia ben migliore di quello vigente, noi non possiamo ammettere che alle donne, in quanto tali, rimangano chiuse porte che sono invece aperte agli uomini.
Sia tolto ogni senso di limitazione e si anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto delle donne ad accedere, in libero agone, ad ogni grado della Magistratura, come di ogni altra carriera. (…)
Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell'articolo 7 nel seguente modo:
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che limitano «di fatto» - noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l'eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”.
Voi direte che questo è un pleonasmo. Noi però riteniamo che occorra specificare «di fatto». Vogliamo qui ricordare quello che avviene in altri paesi democratici. Si dice che l'Inghilterra sia un paese democratico: ebbene, nella democratica Inghilterra le donne hanno conquistato formalmente il riconoscimento della parità assoluta dei diritti circa trent'anni fa, nel 1919. Ma ancora oggi in questa libera e democratica Inghilterra, dove le donne dovrebbero godere di tutti i diritti come gli uomini, poco si è fatto, perché ci si è limitati a sancire formalmente una conquista, che poi nessuno ha voluto realizzare nella pratica. (…)
Mazzini, e tutti i nostri grandi che hanno pensato ed operato per l'avvento nel nostro Paese della Repubblica, ci hanno insegnato che la pietra angolare della Repubblica, ciò che le dà vita e significato, è la sovranità popolare.
Spetta a tutti noi (…) di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva e piena questa sovranità popolare. Ma, perché questo accada veramente, occorre che accanto ai cittadini sorgano, si formino, lavorino le cittadine, fatte mature e coscienti al pieno adempimento di tutti i loro doveri, da quelli familiari ai civili, dal normativo ed educativo godimento dei loro pieni diritti.
Aiutateci tutti a sciogliere veramente e completamente tutti i legami che ancora avvincono le mani delle nostre donne e avrete nuove braccia, liberamente operose per la ricostruzione d'Italia, per la sicura edificazione della Repubblica italiana dei lavoratori.


MATTEI TERESA. Nata a Genova l’1 febbraio 1921, laureata in Filosofia, nel 1938 venne espulsa da tutte le scuole per essersi rifiutata di assistere alle lezioni di difesa della razza. Componente dei gruppi clandestini di “Giustizia e Libertà”, nel 1943 entrò nel Partito Comunista, partecipando alla lotta partigiana a Firenze come staffetta. Tra le fondatrici dei gruppi di difesa della donna e dell’UDI, fu lei ad introdurre la mimosa come simbolo della giornata della donna. Eletta all’Assemblea costituente nelle liste del PCI, fu segretaria del primo Parlamento repubblicano. Nel 1955 venne espulsa dal PCI perché contraria allo stalinismo e alla linea togliattiana.

ARTICOLO 3:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

10 luglio 2016

Lelio Basso – dall'intervento all’Assemblea Costituente, 6 marzo 1947


Lelio Basso – dall’intervento all’Assemblea Costituente, 6 marzo 1947 
Noi pensiamo che la democrazia si difende, che la libertà si difende non diminuendo i poteri dello Stato, non cercando di impedire o di ostacolare l'attività dei poteri dello Stato, ma al contrario, facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato, inserendo tutti i cittadini nella vita dello Stato; tutti, fino all'ultimo pastore dell'Abruzzo, fino all'ultimo minatore della Sardegna, fino all'ultimo contadino della Sicilia, fino all'ultimo montanaro delle Alpi, tutti, fino all'ultima donna di casa nei dispersi casolari della Calabria, della Basilicata. Solo se noi otterremo che tutti effettivamente siano messi in grado di partecipare alla gestione economica e politica della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia.
E questo è il senso profondo, onorevole Calamandrei, degli articoli sul lavoro, che ella e molti  altri colleghi hanno criticato; ella in forma particolare, quasi con spavento, dicendo che questi articoli sono formulati in modo che i cittadini domani, leggendo la Carta costituzionale, potrebbero dire: «Non è vero». Certo, non è vero oggi che la democrazia italiana, che la  Repubblica italiana sia in grado di garantire a tutti il lavoro, che sia in grado di garantire a tutti un salario adeguato alle proprie esigenze familiari; ma il senso profondo di questi articoli  nell'armonia complessa della Costituzione, dove tutto ha un suo significato, e dove ogni parte si  integra con le altre parti, sta proprio in questo: che finché questi articoli non saranno veri, non  sarà vero il resto; finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà;  finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica; o noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzata la democrazia in Italia.
(…)
Noi sentiamo spesso criticare quello che oggi si chiama il Governo dei partiti, la democrazia  dei partiti, che qualcuno chiama la dittatura dei partiti. Si dice che esso ha ucciso il Parlamento.  Ed indubbiamente la vita dei partiti ha ucciso certi aspetti della vita parlamentare, ma noi  crediamo che ciò sia stato un progresso. Ha ucciso il trasformismo, ha ucciso la dittatura personale alla Giolitti, ha ucciso le facili crisi che caratterizzano soprattutto certe forme di  democrazia parlamentare francese, quando la vita parlamentare non aveva dietro di sé il controllo della vita dei grandi partiti. Ma noi pensiamo che proprio attraverso la vita dei partiti si correggono questi difetti della vita parlamentare, perché non si tratta più dell'opinione del singolo Deputato che può mutare di volta in volta, secondo le combinazioni parlamentari o magari le manovre di corridoio. Si tratta di grandi partiti che hanno la responsabilità di grandi masse, di milioni di elettori che sanno che ogni loro gesto, ogni loro atteggiamento politico,  ogni loro decisione implica la responsabilità di milioni di cittadini, e che sanno altresì che ogni  loro errore può costare caro sul piano dell'influenza che il partito ha nella vita del Paese. Non c'è dubbio che in questo senso la vita dei partiti, l'esistenza dei grandi partiti rappresenta un notevole progresso della democrazia, perché dà un maggior senso di responsabilità e quindi una  maggiore stabilità alla vita politica e trasforma conseguentemente l'istituto parlamentare. Ma anche in altro senso, la vita dei partiti è un progresso per la democrazia, perché oggi non  accade più che il cittadino, chiamato alle urne per eleggere i propri rappresentanti, compie la  manifestazione della sua volontà politica ogni quattro o cinque anni a seconda della durata del  mandato parlamentare, e poi sia costretto a rimettersi a quello che faranno i suoi mandatari.
Oggi il cittadino che deve occuparsi di politica, che vuole veramente partecipare all'esercizio  della sovranità popolare, lo può fare ogni giorno, perché attraverso la vita del suo Partito, la sua partecipazione all'organismo politico cui aderisce, egli è in grado di controllare giorno per giorno, d'influire giorno per giorno sull'orientamento, politico del suo partito e, attraverso questo, sull'orientamento politico del Parlamento e del Governo.
È un esercizio direi quotidiano di sovranità popolare che si celebra attraverso la vita dei  partiti, e i partiti di massa sono veramente oggi la più alta espressione della democrazia, perché  consentono a milioni di cittadini di diventare ogni giorno partecipi della gestione politica della vita del Paese.
(…)
Se noi riusciremo a tradurre nella nostra Carta costituzionale questa grande aspirazione di  libertà e di giustizia sociale intesa nel senso che non c'è libertà senza giustizia sociale, che non c'è democrazia politica se non c'è democrazia economica; se noi riusciremo a tradurre nella Carta costituzionale quei principî in cui si incontrano i più antichi motivi della civiltà cristiana, le più vive esigenze della democrazia e le più profonde aspirazioni del movimento socialista, noi avremo realizzato una grande opera: non solo avremo assolto al compito che ci è stato affidato dai nostri elettori, ma avremo veramente fatto qualcosa di un'importanza storica, avremo inserito nella vita dello Stato le grandi masse lavoratrici, avremo cioè dato una garanzia di sviluppo democratico al movimento sociale.
Noi crediamo profondamente in una democrazia così intesa, e noi ci batteremo per questa  democrazia. Ma se altri gruppi avvalendosi, come dicevo in principio, di esigue ed effimere  maggioranze, volessero far trionfare dei principî di parte, volessero darci una Costituzione che  non rispecchiasse quella che è la profonda aspirazione della grande maggioranza degli italiani,  che amano come noi la libertà e come noi amano la giustizia sociale, se volessero fare una  Costituzione che fosse in un certo qual modo una Costituzione di parte, allora voi avrete scritto  sulla sabbia la vostra Costituzione ed il vento disperderà la vostra inutile fatica.

9 luglio 2016

Meriggiare pallido e assorto - Eugenio Montale

Meriggiare pallido e assorto - Eugenio Montale

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

6 luglio 2016

La lontananza - Alexandra Zambà

Pisticci - MT
La lontananza - Alexandra Zambà

Eremo temuto la lontananza
sfiora l’orizzonte siderea
sfuma nel cielo denso di ombre, dolore

Il sangue versa salmastro nel silenzio e
alga impigliata la voce risuona assenze
filiforme resta ferma pressata in gabbia

Esule in capo al mondo la lontananza
lamenta afona discorsi incomprensibili

Avanza parola isolata in un glossario

da Planare lo sguardo - La Vita Felice edizioni, Milano

4 luglio 2016

Canzone – Amy Lowell



Canzone – Amy Lowell

Oh, sì, essere un fiore
che si china nel sole,
curvo, ma poi proteso verso l’alto
al levarsi delle brezze;
innalzare
la coppa traboccante di profumi
carica di fragranza al sole estivo.

Oh, essere una farfalla
sospesa sopra un fiore,
e sbattere le ali variopinte
felice di quell’attimo.
Gemme che non si chiudono,
miniere d’oro profonde
immerse dentro il cuore d’ogni calice.

Oh, essere nuvola
che spira attraverso l’azzurro,
fa ombra alle montagne
ed alta irrompe
entro valli profonde,
dove i tormenti mantengono
                l’effondersi del tuono e il vago arco celeste.

Oh, essere un’onda
che si dissolve a riva,
che si ritrae ma lascia
lentamente la terra.
Arcobaleno chiaro
che guizzi e a lampi narra le avventure
di grotte di cristallo scavate in sabbia gialla.

Muoiono presto i fiori,
vive un giorno l’insetto,
le nubi in acquazzoni si dissolvono;
solo le onde giocano
e durano per sempre.
Riusciremo a rendere un mare di propositi
più forti dei nostri sogni di oggi?

Trad. Silvio Raffo - da Poesia n. 317

3 luglio 2016

Allegria - José Saramago

Allegria - José Saramago

Già lontan sento le grida
già la voce dell’amore
l’allegria dice del corpo
e l’oblio del dolore

Già i venti si ritirano
già l’estate a noi si offre
quanti frutti quante fonti
oltre al sol che ci riscalda

Già raccolgo gelsomini
già ghirlande ho di rose
e al centro della strada
danzo danze prodigiose

Già si fanno i sorrisi
già si fanno tutti i giri
Oh certezza di certezze
oh allegria delle nozze.